Telecomunicazioni in 'Enciclopedia del Novecento'

Telecomunicazioni

di Antonio Gigli e Paolo de Ferra

SOMMARIO: 1. Premessa. □ 2. Tecniche della prima metà del secolo: a) ingegneria del sistema telefonico; b) apparecchi telefonici e linee d'utente; c) tecniche di commutazione; d) tecniche di trasmissione; e) tecniche per il servizio telegrafico. □ 3 L'evoluzione in atto: a) tecniche di trasmissione; b) tecniche di commutazione; c) tecniche per la teleinformatica; d) tecniche per il servizio telegrafico. □ 4. Tendenze di sviluppo: a) integrazione delle tecniche telefoniche; b) condizioni per lo sviluppo; c) integrazione dei servizi numerici; d) altri servizi. □ 5. Problemi del momento: a) problematica della trasmissione; b) problematica della commutazione; c) sincronizzazione della rete; d) problemi di introduzione; e) prospettive avanzate; f) implicazioni sociali e conclusioni. □ 6. Orientamenti bibliografici. □ Bibliografia.

1. Premessa.

La spinta ideale a comunicare con il prossimo, superando le distanze fisiche, è antica quanto l'uomo e ne segna la civiltà. Nel corso dei secoli, i progressi delle tecniche di telecomunicazione hanno contribuito in misura non certo trascurabile all'evoluzione delle forme associative dell'umanità, evoluzione che va generando organizzazioni sociali sempre più raffinate e complesse. Ciò è particolarmente vero per quest'ultimo secolo, in cui la disponibilità di telecomunicazioni è diventata un bene fondamentale, indispensabile e condizionante per il mantenimento dell'efficienza della società e per il suo progresso.

Di fronte a un'umanità in crescente aumento, la problematica del XX secolo sembra risiedere in gran parte nella difficoltà di disporre in misura adeguata di due tipi di beni fondamentali: gli uni sono legati alla limitatezza delle risorse, e sono ad esempio l'energia, l'acqua, il cibo; gli altri sono direttamente connessi con l'addensamento umano e sono ad esempio la circolabilità urbana, la garanzia dell'intimità, la salute. A prima vista, un tal genere di problemi non sembrerebbe riguardare l'area delle telecomunicazioni, se non indirettamente. Per esempio, si sa che una certa quantità di energia è pur sempre indispensabile per la produzione e l'esercizio delle apparecchiature di telecomunicazioni; quindi se mancasse totalmente l'energia, mancherebbero totalmente le telecomunicazioni.

Il legame fra la suddetta problematica e le telecomunicazioni appare però ben più stretto quando se ne approfondisce l'esame. Appare infatti sperabile che, attraverso ulteriori progressi nel campo delle telecomunicazioni, si possano ottenere risultati che restituiscano in qualche forma alcuni dei beni fondamentali o consentano di distribuirli meglio. È evidente, per esempio, che per molti versi l'impiego delle telecomunicazioni riduce la richiesta di trasporti.

In generale, quanto più estesa, capillare, varia ed evoluta sarà la disponibilità di telecomunicazioni, tanto maggiore sarà il beneficio potenziale derivabile per l'organizzazione e la vita della società umana. Il beneficio non si realizza solamente nel ridurre le richieste di energia per applicazioni meno evolute (come i mezzi di trasporto), ma un adeguato sviluppo delle telecomunicazioni potrà consentire agli uomini maggiore efficienza, maggiore informazione, maggiore libertà dai vari e non certo indifferenti vincoli dell'attuale società.

L'umanità comunica principalmente per mezzo della voce e dei segni, che sono percepiti rispettivamente attraverso l'udito e attraverso la vista. Nell'antichità la parola e il gesto costituirono gli unici mezzi per comunicare, e lo sono ancor oggi nelle società primitive e nell'infanzia. Inoltre, per l'uomo non vi fu alcuna pratica possibilità di comunicare a distanza, fuori dalla portata della vista e dell'udito, fino al periodo storico, cioè fino all'uso della scrittura. Un codice simbolico adatto a supporti concreti come l'argilla, il papiro, la cera, costituì il primo mezzo non solo per tramandare l'informazione nel tempo, ma anche per trasportarla nello spazio, cioè per comunicare a distanza.

La scrittura contiene evidentemente una quantità di informazione minore rispetto alla riproduzione fedele di parole pronunciate, in quanto non riproduce le caratteristiche della voce (ampiezza, tono, timbro, cadenza), ma riporta soltanto l'informazione essenziale ivi contenuta. Altre riduzioni d'informazione possono derivare dalla maggiore laboriosità dello scrivere rispetto al parlare, e il fenomeno si accentua quando intervengono fattori di costo a limitare la lunghezza dello scritto. Tuttavia, la degradazione più grave che il trasporto meccanico della parola scritta introduce nei riguardi dell'interscambio di informazioni è costituita dai tempi necessari per il trasporto delle informazioni stesse. Questi tempi costituiscono inevitabilmente un ostacolo insormontabile a ogni possibilità di colloquio, cioè di scambio di informazioni ‛in tempo reale'.

Come esempi di sistemi escogitati nel passato per superare la lentezza di propagazione dell'informazione insita nel suo trasporto meccanico è classico citare diversi tipi di comunicazione ottica per mezzo di fuochi e fumate aventi significati simbolici. Questi telegrafi ottici vennero impiegati fin dall'evo antico, sebbene soltanto per i limitati periodi corrispondenti alla massima floridezza di qualche civiltà, come quella cinese, greca, cartaginese o romana. Un sistema di dimensioni imponenti fu appunto quello della rete imperiale romana, con torri di segnalazione disposte a intervalli regolari in un'unica linea, lunga migliaia di chilometri, disposta tutt'attorno al bacino del Mediterraneo. Sistemi di questo genere furono in grado di trasportare informazioni, di norma governative o militari, con una considerevole velocità. Il tempo di trasporto dell'informazione viene infatti ridotto, con tali sistemi, alla somma dei tempi di ripetizione dei segnali nelle stazioni intermedie. Si evidenzia però, a fronte dell'aumentata velocità rispetto al trasporto meccanico, sia la laboriosità della trasmissione delle informazioni, sia l'estrema ‛sottigliezza' del mezzo trasmissivo. Questo infatti è in grado di trasportare con una certa velocità i segnali elementari ma non può trasmettere più di un segnale elementare per volta. Nonostante tali limitazioni e nonostante il fatto che il funzionamento era garantito soltanto col bel tempo, il telegrafo ottico costituì fino al secolo scorso il mezzo di telecomunicazione più efficiente. Vari espedienti vennero impiegati per aumentare la portata di informazione del mezzo, aumentando sia il numero dei segnali elementari sia la velocità di ripetizione. Si attribuì anche ai singoli segnali elementari il significato di frasi prestabilite scelte fra le più comuni, operando così una considerevole riduzione di ridondanza dei messaggi.

Un sistema fra i più estesi e perfezionati fu il telegrafo Chappe, che venne introdotto in Francia per informazioni governative all'inizio del secolo scorso e, successivamente, in vari altri paesi. Alla metà dello stesso secolo la rete Chappe copriva in Francia circa 5000 km di linea, collegando 29 città. In Italia la rete era estesa a Torino , Milano , Mantova e Venezia . I segnali elementari erano 196; il codice era differente da paese a paese e segreto per motivi di sicurezza. La distanza fra due stazioni ripetitrici era di circa 10 km; il tempo di ripetizione era intorno a 10 secondi per stazione, consentendo così di superare la distanza di 1 000 km in circa un quarto d'ora. Il personale era di circa 6 operatori per stazione.

Il telegrafo ottico fu sostituito non appena divenne disponibile quello elettrico, le cui prime linee comparvero sia in Europa sia in America intorno al 1840. Il sistema elettrico presentava evidentemente il fondamentale vantaggio di eliminare il forte impegno di personale necessario per il telegrafo ottico, che ne aveva sempre limitato l'uso ai soli scopi di Stato. Con il telegrafo elettrico hanno inizio i servizi di telecomunicazioni per uso pubblico.

Numerosi sistemi di telegrafo elettrico, generalmente con più fili fra apparecchio e apparecchio, furono escogitati nella prima metà dell'Ottocento e in alcuni casi anche messi in servizio, per esempio a uso di qualche società ferroviaria lungo il percorso dei binari. Il grande sviluppo delle reti telegrafiche ebbe peraltro inizio nella seconda metà dell'Ottocento, impiegando nella grande maggioranza dei casi l'apparecchio Morse con un unico filo di linea. Nella versione elementare dell'apparecchio Morse il terminale di una pila viene collegato da un operatore alla linea mediante un tasto, per impulsi brevi o lunghi secondo un codice semplice e universalmente conosciuto. All'altro estremo, per effetto degli impulsi di corrente provenienti dalla linea, un e elettromagnete aziona una punta scrivente contro un nastro di carta che è mosso da un congegno a orologeria.

Numerosi perfezionamenti resero possibile lo sviluppo del servizio telegrafico: principalmente sono da citare i sistemi per consentire una migliore utilizzazione dei mezzi trasmissivi e gli svariatissimi sistemi per ottenere automaticamente all'estremo d'arrivo la messa in chiaro dei messaggi trasmessi. Tra i primi è da citare il sistema duplice che consente di comunicare contemporaneamente nei due versi dello stesso circuito fisico, e così pure i diversi sistemi di multiplazione atti a consentire sul medesimo mezzo fisico la trasmissione contemporanea di più messaggi. Tra i secondi sono notevoli sia il telegrafo Hughes sia quello Baudot, con i relativi codici. In ambedue i casi il meccanismo di ricezione aziona una ruota provvista di caratteri a stampa, che viene posizionata carattere per carattere sulla base dei segnali in codice che percorrono la linea, in modo da scrivere in chiaro su un nastro di carta il messaggio trasmesso.

Con tecniche di questo livello, il servizio telegrafico comprendeva, all'alba del Novecento, 160.000 apparecchi, allacciati a una rete pubblica mondiale completamente interconnessa e costituita da quasi un milione e mezzo di chilometri di linee su palificazione e di cavi sottomarini.

Nella seconda metà dell'Ottocento si ebbe, oltre a un consistente ed esteso sviluppo della rete telegrafica pubblica, anche la nascita delle prime applicazioni telefoniche. Come già per il telegrafo, anche per questo nuovo mezzo di telecomunicazione, dopo un breve periodo di diversi esperimenti più o meno paralleli, fra cui notevole è il telefono di Meucci, un unico brevetto costituì la base per tutti gli ulteriori sviluppi. Esso fu quello ottenuto da Bell nel 1876. In tale apparecchio la lamina microfonica, vibrando per effetto del suono da trasmettere, fa variare corrispondentemente la riluttanza di un circuito magnetico. Un avvolgimento elettrico accoppiato al magnete è collegato da un lato a una pila e dall'altro alla linea. Le variazioni di riluttanza del circuito magnetico inducono sull'avvolgimento accoppiato e sulla linea una pulsazione di corrente della stessa frequenza della vibrazione della lamina. All'altro estremo la linea è collegata a un corrispondente elettromagnete e il circuito si chiude a terra. Per effetto della corrente, l'elettromagnete fa vibrare la lamina ricevente, che riproduce il suono originale.

La caratteristica fondamentale che distingne il telefono dal telegrafo è quella di consentire una diretta e immediata corrispondenza fra due persone, senza codifica e quindi senza alcuna pratica riduzione dell'informazione vocale (frequenza, tono, intensità, cadenza) e senza i ritardi nel trasporto dell'informazione che renderebbero altrimenti impossibile il colloquio.

Il telegrafo richiede, per la sua complessità, la presenza di operatori e rende necessaria l'istituzione, nelle diverse località, di uno o più uffici telegrafici presso i quali il mittente si reca occasionalmente per spedire l'informazione in partenza e dai quali l'informazione in arrivo viene recapitata al domicilio del destinatario. Il telefono, invece, non richiedendo per la sua semplicità la presenza di operatori intermediari, rende possibile l'installazione degli apparecchi a domicilio degli utenti e un impiego molto frequente degli apparecchi stessi. Ne deriva una richiesta potenziale di collegamenti dello stesso ordine di grandezza della popolazione umana. Per tali motivi, e sebbene nei primi tempi l'interesse all'allacciamento fosse, per il potenziale utente telefonico, limitato dalla scarsità di possibili corrispondenti con cui comunicare, il ritmo di incremento del servizio fu subito considerevole. Nel 1880, quattro anni dopo la sua invenzione, il telefono contava già 33 mila apparecchi, che divennero 420 mila nel 1890 e quasi 2 milioni alla fine dell'Ottocento. Di questi, oltre il 50% negli Stati Uniti e oltre il 40% in Europa.

2. Tecniche della prima metà del secolo.

Agli inizi di questo secolo i due servizi, telegrafico e telefonico, si trovavano in due fasi diverse di sviluppo. La telegrafia, sostanzialmente interurbana, era estesa su tutto il mondo con una rete efficiente anche se sottile e con modalità di servizio stabilmente consolidate. A partire dal 1900 i traffici e la rete si ingrandirono (da 300 milioni di telegrammi nel 1900 a 1200 milioni nel 1975). L'incremento non risultò ingente, soprattutto se rapportato a quello di altri servizi. Soltanto negli ultimi decenni l'impiego della telescrivente e della commutazione automatica ha aperto un nuovo, anche se limitato, sbocco alla telegrafia con il servizio telex.

Per converso la telefonia, confinata inizialmente entro ambiti quasi esclusivamente locali, era destinata a diventare nello stesso periodo, attraverso un imponente sviluppo quantitativo e qualitativo, il principale e più diffuso servizio di telecomunicazioni. Il numero degli apparecchi telefonici passò dagli iniziali 2 milioni agli attuali 400 milioni. Parallelamente, la portata della trasmissione di buona qualità si accrebbe fino alle massime distanze mondiali. L'accrescimento dei traffici fu accompagnato dalla posa di mezzi trasmissivi economici, di potenzialità, capillarità e livello evolutivo oltremodo superiori a quelli impiegati per il traffico telegrafico. Si giunse quindi al momento in cui convenne riferirsi, per il servizio telegrafico, agli impianti e, particolarmente, ai mezzi trasmissivi della telefonia. Tale tendenza è tutt'oggi in atto, e sembra anzi accentuarsi e allargarsi ad altri servizi che vengono attratti dalla grande rete di telecomunicazione telefonica. Per tali motivi è apparso consigliabile - nella stesura di questo testo che deve trattare dell'insieme di tutti i servizi bidirezionali di telecomunicazioni - considerare dapprima il processo evolutivo che si è verificato per le tecniche telefoniche: dovrebbe cosi risultare più agevole considerare in seguito, una volta delineate le grandi linee del disegno, l'evoluzione delle tecniche particolarmente dedicate alla telegrafia e, più in generale, agli altri servizi.

Per quanto riguarda poi l'andamento con cui i progressi tecnologici e tecnici si sono susseguiti nel corso del secolo, è sembrato decisamente opportuno distinguere l'attuale epoca dell'elettronica allo stato solido (cioè dei transistori), della cibernetica e della teoria dell'informazione dall'epoca precedente dominata dalle tecnologie elettromeccaniche e dalle valvole termoioniche. Come confine tra le due epoche è stato convenzionalmente scelto il 1950: per tale motivo, gli sviluppi che vengono considerati nel presente capitolo sono limitati a quelli verificatisi entro la prima metà del secolo.

a) Ingegneria del sistema telefonico.

Dalle origini a oggi l'ingegneria fondamentale del sistema telefonico non è mutata. Infatti, tanto negli impianti di tipo primitivo quanto in quelli dei giorni nostri, gli elementi costitutivi della rete e le rispettive funzioni sono rimasti i medesimi, e sono: a) gli apparecchi telefonici, per convertire l'energia meccanica della voce in segnali elettrici, e viceversa; b) le linee di utente, per trasportare tali segnali fra l'apparecchio e la centrale; c) le centrali di commutazione (v. fig. 1), per connettere a ogni comunicazione la linea chiamante con quella chiamata; d) le linee di giunzione, per interconnettere fra loro le centrali. La filosofia di base del sistema si è articolata, fin dall'inizio, nei seguenti punti.

1. Impiego di centrali di commutazione. Il preciso scopo delle centrali è quello di connettere elettricamente, per la durata di ogni comunicazione, la linea dell'utente chiamante con quella dell'utente chiamato (commutazione di circuito). Conseguentemente, per ogni comunicazione risulta necessario che un'informazione di selezione venga inviata dal chiamante alla propria centrale, per indicare di volta in volta la linea che deve essere chiamata. Se tale linea è allacciata a un'altra centrale, l'informazione di selezione dev'essere trasmessa sul collegamento dalla centrale di origine a quella di destinazione. Risolvere problemi di commutazione implica quindi non soltanto allestire e disporre contatti elettrici adeguati all'interconnessione di linee e di giunzioni, ma anche risolvere problemi relativi ai comandi di azionamento e di rilascio di tali contatti e alla segnalazione che determina i comandi stessi.

2. Concentrazione dei traffici. Ragioni tecnico-economiche, che tengono essenzialmente conto del basso traffico specifico caratteristico dei normali apparecchi telefonici (pochi minuti per ogni ora), consigliano generalmente di rendere disponibile agli utenti un numero di vie di comunicazione molto minore del numero degli utenti stessi. Perciò, oltre alla funzione di distribuzione del traffico (suo istradamento verso una certa centrale), la commutazione comprende anche una funzione di concentrazione del traffico nella centrale di origine e una funzione di riespansione nella centrale di destinazione (v. figg. 2 e 3).

3. Struttura ottimale della rete. Il numero delle centrali viene determinato sulla base dell'equilibrio tecnico-economico fra la convenienza di accorciare le linee d'utente e la convenienza opposta di concentrare i traffici a gruppi di utenti sufficientemente consistenti.

Nelle reti telefoniche all'inizio del secolo gli apparecchi in uso erano già alquanto perfezionati rispetto a quello del brevetto originale di Bell, sia per l'impiego di microfoni a carbone, sia per l'aggiunta di dispositivi di chiamata in partenza e in arrivo (manovella e soneria). Le linee fra utente e centrale erano normalmente costituite da due fili aerei di bronzo, oppure da uno solo con ritorno a terra. Le centrali erano manuali, cioè costituite da tavoli di commutazione serviti da operatrici (v. fig. 4). Ciascun tavolo era munito: di terminazioni singole d'utente (indicatori di chiamata, boccole d'accesso alle linee); di organi di commutazione (cordoni flessibili muniti di spine e di contatti di sezionamento); di circuiti d'operatrice (cuffia, inviatore di chiamata). La funzione di commutazione era svolta dai cordoni, quella di comando dalle operatrici, quella di segnalazione dalle correnti di chiamata in linea e dai colloqui delle operatrici con gli utenti e fra loro. Il numero dei cordoni per posto di lavoro (una decina) era determinato dalla capacità dell'operatrice di servire un massimo di una decina di comunicazioni contemporanee (ciò corrisponde alla concentrazione del traffico di una cinquantina di utenti). Per reti di potenzialità superiore il numero dei posti di lavoro era corrispondentemente maggiore.

Le giunzioni fra una centrale e l'altra, dimensionate in base agli interessi di traffico, erano costituite da conduttori aerei, generalmente su palificazioni. Il diametro dei fili era diverso a seconda della lunghezza dei collegamenti, per limitarne l'attenuazione; erano cosi superabili distanze anche di un migliaio di chilometri. Elevati costi, sia come impianto sia come esercizio, determinavano però la necessità di code di attesa delle comunicazioni per poter sfruttare pienamente le linee, e tariffe elevate, per cui nella pratica la grande maggioranza delle comunicazioni rimaneva contenuta nel raggio delle distanze brevi.

La situazione della telefonia all'inizio del secolo può, quindi, essere riassunta come segue: le linee d'utente erano singole e costose, sia come impianto sia come esercizio; le centrali di commutazione si basavano sul servizio manuale, avevano impianti semplici e poco costosi; molto costoso, invece, era l'esercizio; i circuiti interurbani erano rari e di costo specifico elevato.

Nell'esaminare di qui in avanti l'evoluzione delle tecniche telefoniche dal 1900 al 1950 va messo in rilievo che, a fronte del mantenimento della filosofia ingegneristica di base, l'imponente espansione quantitativa del sistema ha determinato e accompagnato in tale periodo notevoli modifiche strutturali degli impianti. L'evoluzione si realizzò, per le linee d'utente, principalmente con l'adozione di cavi sotterranei e, per i circuiti interurbani, con l'adozione di cavi, di amplificatori e di apparecchiature sempre più sofisticate, aventi il duplice scopo di migliorare le caratteristiche trasmissive e di abbassare i costi specifici dei singoli circuiti.

Ma la più profonda mutazione evolutiva della natura stessa del servizio fu determinata dal processo di automatizzazione, dapprima in ambito urbano e successivamente in aree sempre più estese; ciò implicò la sostituzione delle centrali manuali con centrali automatiche sempre più complesse che, per i loro elevati costi d'impianto, costituiscono oggi una voce primaria nei costi di investimento degli enti gestori e nell'impegno di personale dei laboratori di sviluppo (non a caso, quindi, un'adeguata parte delle prossime pagine sarà dedicata al tema della commutazione).

b) Apparecchi telefonici e linee d'utente.

Fra il 1900 e il 1950 l'evoluzione degli impianti di utente si realizzò principalmente con l'adozione di apparecchi telefonici automatici e di linee sotterranee in cavo. Per gli apparecchi, un primo progresso venne ottenuto con il passaggio dal tipo BL (batteria locale) al tipo BC (batteria centrale) in cui l'alimentazione microfonica è fornita dalla centrale, risparmiando cosi il periodico e costoso ricambio delle pile a secco a domicilio dell'utente. Diventò così anche possibile rilevare in centrale, mediante semplici relè percorsi dalla corrente di alimentazione, gli stati di sgancio e di riaggancio degli apparecchi, realizzando un sistema di chiamata e di supervisione, cioè di colloquio utente-centrale = uomo-macchina, ben più semplice ed efficace di quello con generatore a manovella. Ma la più importante evoluzione di tale colloquio, correlata all'automatizzazione del servizio, fu costituita dall'introduzione del disco combinatore. Attraverso l'azionamento di tale ben noto dispositivo, vengono comunemente inviate in linea cifra per cifra tante brevi interruzioni della corrente di alimentazione quanto è il valore della cifra stessa: ad esempio per la cifra 8 vengono inviati 8 impulsi di apertura (la cifra 0 corrisponde però a 10 impulsi).

Per quanto riguarda le linee di utente, i fili aerei furono progressivamente sostituiti con cavi, generalmente interrati, che presentano vantaggi d'impiego per i minori ingombri e le migliori protezioni, e soprattutto sono più economici in seguito alla produzione automatica in fabbrica e alla ripartizione dei costi fissi fra un gran numero di circuiti componenti. Fra l'altro, la sostituzione si dimostrò utile anche per il mantenimento dei valori ambientali, particolarmente nelle zone dove i collegamenti si infittiscono, cioè in prossimità delle centrali. Normalmente, in un cavo telefonico i conduttori sono molto numerosi, di rame nudo e distanziati fra loro da striscioline di carta. L'isolamento è garantito dall'aria secca contenuta fra un conduttore e l'altro. L'interno del cavo è ermeticamente isolato dall'umidità esterna dalla guaina del cavo, che è in piombo. Con adeguate tecnologie si è riusciti a contenere la dimensione di un cavo di grande potenzialità da 2400 coppie (cioè 4800 conduttori del diametro di 0,4 mm ciascuno) entro il diametro di 80 mm, guaina compresa.

c) Tecniche di commutazione.

La conversione delle centrali di commutazione dal servizio manuale a quello automatico fu inizialmente motivata da una ricerca di riservatezza e di segreto, ma ne derivarono anche importanti miglioramenti di prestazioni, particolarmente in termini di maggiore velocità di formazione dei collegamenti. L'automatizzazione del servizio telefonico fu essenziale per lo sviluppo delle telecomunicazioni in generale e può essere riconosciuta soprattutto come una manifestazione di progresso, in quanto ha alleviato gli operatori da compiti banali e ripetitivi che possono più convenientemente essere eseguiti da macchine.

Commutazione a comando diretto. - Il primo sistema automatico venne sviluppato agli inizi del Novecento dall'americano A. B. Strowger, impiegando quel tipico selettore a 10 livelli in sollevamento e 10 uscite in rotazione, il cui concetto è ancor oggi alla base di numerosi impianti (v. fig. 5). Questo selettore può funzionare sotto l'azione diretta degli impulsi elettrici provenienti dal disco combinatore dell'utente chiamante. Alla prima cifra ricevuta la parte mobile viene sollevata in corrispondenza di uno fra i 10 possibili livelli e, alla seconda cifra, essa viene ruotata in corrispondenza di uno fra i 10 possibili passi di quel livello. Il selettore presenta quindi 100 passi in uscita, cioè dà la possibilità di raggiungere fino a 100 utenti corrispondenti con numerazione decadica a 2 cifre.

Le funzioni logiche e di memoria relative alla segnalazione e al comando, cioè alla formazione, tenuta e abbattimento dei collegamenti, sono svolte di norma, oltre che dai selettori stessi, da gruppi di relè elettromagnetici che li accompagnano (v. fig. 6). I relè funzionano su base binaria, essendo in grado di assumere ognuno due possibili stati: di azionamento o di rilascio. Con N elementi binari possono essere distinte, almeno in teoria, F = 2N differenti situazioni logiche o fasi di funzionamento.

Una centrale elementare è costituita da un solo stadio di selezione, quello dei selettori di linea o SL, e ha la potenzialità di 100 numeri. Per motivi di economia (concentrazione dei traffici), conviene che i selettori di linea non siano 100, ma 10; ognuno di essi viene associato rigidamente e simmetricamente a un altro selettore (come le due spine di un cordone). Quest'altro selettore ha la funzione di cercatore di chiamata, o CC, cioè di raggiungere automaticamente la linea chiamante appena il chiamante sgancia. L'insieme dei due selettori associati è chiamato ‛cordone'. È evidente l'analogia funzionale di tale centrale con un centralino manuale a 10 cordoni. Sotto l'aspetto della segnalazione, per esempio, l'annuncio ‟che numero desidera?" viene sostituito dal tono di centrale (•−•−) che è, appunto, un invito a ‛dire' il numero per mezzo del disco combinatore (v. fig. 7C).

Con i medesimi selettori possono essere inseriti anche altri stadi di selezione, con funzioni di distribuzione: I SG, cioè primi selettori di gruppo, II SG, ecc. Si possono cosi costituire centrali di potenzialità sempre maggiore. A ogni stadio che s'inserisce in più, aumenta di un'unità il numero delle cifre da formare e si decuplica la potenzialità P della centrale. Detto g il numero degli stadi di selezione di gruppo, si ha: P = 10g • 100. Infatti, ogni stadio di selezione di gruppo accede a 10 livelli, mentre lo stadio di selezione di linea accede a 100 utenti (v. fig. 7, D ed E).

Centrali a registro. - Vari perfezionamenti furono realizzati successivamente al sistema Strowger, sempre sulla base del funzionamento comandato direttamente dal disco d'utente verso i selettori man mano raggiunti. Altri sistemi, invece, furono sviluppati su basi diverse, con selettori svincolati dal sistema decadico, cioè con numeri L di livelli e u di uscite per selettore generalmente diversi da 10 e rispettivamente da 100, con formula generale: P = Lgu. In tali sistemi, il numero u delle uscite per selettore assunse di volta in volta valori ottimali diversi dipendenti dalle tecnologie impiegate e tendenti a minimizzare il costo complessivo della commutazione (v. fig. 8). Fra gli altri si ebbero sistemi (ancor oggi in esercizio) con selettori a 500 uscite divise in 25 livelli. In questi, per esempio, centrali con un solo stadio di selezione di gruppo hanno la potenzialità di 251 × 500 = 12.500 utenti. Con tali centrali non può più esistere un funzionamento ‛a comando diretto', ma diviene necessaria una funzione di traduzione fra la numerazione esterna (decadica) del disco combinatore e la numerazione interna (per esempio venticinquesimale) della centrale. Tale funzione viene di norma svolta da appositi circuiti chiamati ‛registri' (v. fig. 9).

In una centrale a registro (v. fig. 10), quando un utente sgancia per chiamare, la sua linea viene collegata non soltanto a un cordone (CC-I SG) ma anche a un registro. Il registro invia al chiamante il tono di centrale, riceve il numero formato, lo traduce, comanda il posizionamento dei selettori e, ancor prima che la comunicazione abbia inizio, si discollega da quel cordone ritornando a disposizione per altri cordoni e per altre chiamate. È evidente lo stretto parallelismo con i compiti dell'operatrice di una centrale manuale. Il principio adottato è quello di centralizzare le funzioni di logica e di memoria in appositi organi, che vengono fatti intervenire per il tempo strettamente indispensabile allo svolgimento delle loro funzioni. L'economicità del metodo risiede nella ripartizione del costo degli organi necessari per funzioni complesse fra una gran quantità di comuni organi di linea.

Centrali a marcatori. - La centralizzazione delle logiche e delle memorie ebbe ottime applicazioni particolarmente nei sistemi con multiselettori a coordinate. L'applicazione massiccia di tali sistemi ebbe inizio negli anni quaranta ed è ancora quella effettivamente in atto in numerosi paesi. Il pregio fondamentale risiede nell'abbandono dei selettori a movimenti macroscopici con contatti striscianti e nell'adozione, invece, di contatti non striscianti, come nei relè. Gli inconvenienti dello strisciamento consistevano nel mai realizzato compromesso fra le caratteristiche elettriche dei contatti, le carattenstiche di resistenza all'usura e i costi, e risultavano in definitiva nella necessità di un'onerosa manutenzione.

La ragione economica dei multiselettori a coordinate risiede nel compattamento di n selettori con u uscite ciascuno in un unico apparato, prevedendo non n × u magneti di azionamento (come in una soluzione a relè), ma solo n + u magneti, orizzontali e verticali, meccanicamente integrati e atti a individuare, di volta in volta, il punto di accoppiamento da azionare. La nuova tecnologia impose una nuova ricerca del valore ottimale del numero u di uscite per selettore, che può considerarsi compreso fra 20 e 60. La presenza di selettori così piccoli implica però che ciascuno stadio di selezione debba essere costituito da due o più sottostadi in cascata, da posizionare contemporaneamente (v. fig. 11). Ciò si ottiene attraverso l'impiego di un organo centralizzato, chiamato marcatore, le cui funzioni sono: a) connettersi all'entrata in fase di richiesta di formazione di un collegamento; b) ricevere dal registro a monte l'informazione numerica relativa al livello richiesto; c) individuare, fra le uscite che appartengono a tale livello e sono raggiungibili da quell'entrata, quelle libere; d) scegliere una di tali uscite e posizionare corrispondentemente i selettori dei diversi sottostadi; e) liberarsi, rendendosi disponibile per la formazione di altri collegamenti. È da notare come in queste centrali moderne, con registri e marcatori e altri organi centralizzati (v. fig. 12), le funzioni di comando della formazione dei collegamenti sono tutte svolte da organi concentrati. I selettori costituenti la rete di connessione appaiono come una grande massa passiva sotto i comandi di pochi organi intelligenti, ben diversamente che nei sistemi precedenti, in cui ogni selettore era dotato di una propria logica di comando. Alla rete di connessione rimangono ora soltanto poche e semplici funzioni logiche, relative al collegamento già formato (risposta, riaggancio, disconnessione).

Il fondamento economico dei marcatori, organi complessi e costosi formati da parecchie decine di relè, consiste nel poterne ripartire i costi fra un gran numero di entrate nello stadio. Infatti, in grandi linee, il numero delle entrate servibili è inversamente proporzionale al tempo per cui un marcatore rimane impegnato per ogni comunicazione. A sua volta, il tempo di impegno è costituito essenzialmente da tre addendi, e cioè il tempo di ricezione dei segnali numerici (provenienti dal registro), il tempo di esecuzione delle funzioni logiche e il tempo di posizionamento dei selettori. L'ingegneria del sistema a marcatori richiede che tutti e tre tali tempi siano per quanto possibile contenuti; ciò si ottiene rispettivamente adottando sistemi di segnalazione veloci (intorno ai 100 millisecondi per cifra al posto del secondo e più per cifra tipico dei codici impulsivi); costituendo i marcatori con elementi tecnologici a bassi tempi di azionamento; impiegando selettori veloci (poche decine di millisecondi per ogni posizionamento). Finché si rimase nel campo delle tecnologie elettromeccaniche, il limite raggiungibile fu quello di un marcatore ogni circa cento entrate. Un'accelerazione ulteriore dei tempi di funzionamento si rese praticamente possibile soltanto dopo il 1950, attraverso le tecnologie elettroniche.

d) Tecniche di trasmissione.

Contemporaneamente allo sviluppo delle tecniche di commutazione dai primitivi impianti manuali alle moderne centrali automatiche a marcatori, fra il 1900 e il 1950 si verificò una parallela, imponente evoluzione nel campo dei mezzi trasmissivi. Il sistema a fili aerei su palificazioni in uso all'inizio del secolo appariva limitativo in vari sensi: come portata, per motivi di attenuazione; come potenzialità, per motivi di ingombro e di interferenze (diafonie); come impiegabilità, non consentendo ad esempio il collegamento di isole; come costi, infine, tanto di impianto quanto di esercizio. Il superamento di tali limiti avvenne per passi successivi. In generale, tutta l'evoluzione del campo trasmissivo nel primo mezzo secolo si inquadra su due direttrici fondamentali parallele: 1) evoluzione in senso qualitativo, come ricerca di mezzi in grado di trasportare i segnali con il minimo di degradazione per attenuazioni e disturbi; 2) evoluzione in senso economico, come ricerca di abbassamento dei costi del singolo circuito. L'obiettivo perseguito e raggiunto fu quello di costituire una rete mondiale senza limitazioni, sia rispetto alle distanze copribili, sia rispetto all'ampliabilità, per servire qualsivoglia volume di traffico.

Cavi interurbani. - Il primo passo dovette consistere nella sostituzione dei fili aerei con cavi. Questi, però, presentano caratteristiche di attenuazione, di distorsione e di diafonia nettamente peggiori dei fili aerei, il che inizialmente limitò il loro uso alle sole brevi distanze, cioè ai collegamenti urbani. Un mezzo pratico per ridurre attenuazione e distorsione venne escogitato da Pupin nel 1900 e consiste nell'introdurre apposite bobine di induzione a intervalli fissi lungo il percorso (v. fig. 13). Parallelamente furono perfezionati metodi per ridurre le diafonie, sia attraverso la continua variazione delle posizioni reciproche dei conduttori lungo il cavo, sia attraverso un'estrema accuratezza di fabbricazione e di bilanciamento in opera dei circuiti, per rendere i conduttori il più possibile uniformi fra loro. Si ottennero così cavi interurbani di caratteristiche accettabili, che si diffusero largamente nella prima metà del secolo. La loro portata rimase però sempre limitata, per motivi di attenuazione, entro il raggio di 100 ÷ 150 chilometri.

Amplificazione. - Notevoli passi avanti furono fatti applicando alla telefonia i progressi già acquisiti dalla radiotecnica. Un aspetto particolarmente suggestivo, ma che non fu il principale, è legato all'applicazione diretta della radiodiffusione per comunicazioni transoceaniche ‛a viva voce'. Si aprirono negli anni venti i primi servizi telefonici pubblici via radio, sia fra Europa e America, sia con le principali isole, sia con le navi; ma la scarsità di canali di diffusione e l'elevato costo limitarono tali servizi a casi marginali, seppure importanti. Lo sviluppo principale venne invece indirettamente, con l'adozione in telefonia dei nuovi componenti tecnologici nati per la radio, e in particolare con il massiccio impiego di amplificatori a valvole termoioniche (triodi) su circuiti sia in filo sia soprattutto in cavo.

Un amplificatore telefonico ha essenzialmente la funzione di compensare, con l'immissione di nuova energia, l'attenuazione del tratto di linea che lo precede, o che lo segue. L'elemento classico di amplificazione, il triodo, è però unidirezionale, mentre una linea telefonica è bidirezionale: occorre, perciò, inserire due triodi in parallelo per amplificarla in ambedue i versi. Conseguentemente, si dovette superare il problema di far sì che l'energia proveniente da un lato della linea e amplificata da uno dei due triodi venisse diretta verso l'altro lato della linea (e non tornasse indietro verso l'ingresso dell'altro triodo), e viceversa. L'apposito circuito che soddisfa a questi requisiti è chiamato ‛traslatore differenziale' e viene inserito simmetricamente ad ambedue i lati dell'amplificatore. L'amplificatore viene anche provvisto di filtri adeguati, atti a neutralizzare pure la distorsione armonica introdotta dalla tratta di linea. In tal modo, almeno in prima approssimazione, dopo il passaggio attraverso l'amplificatore è come se la ‛storia' del segnale sulla linea precedente fosse cancellata. Però amplificatori di questo tipo possono essere disposti in cascata lungo una linea a 2 fili in numero illimitato soltanto in teoria. Per ragioni pratiche occorre fare uso, oltre una certa distanza, di linee a quattro fili, in cui il numero degli amplificatori (unidirezionali) può essere realmente molto grande, consentendo così di affrontare un gran numero di tratti di linea successivi, su distanze continentali. Una limitazione alle distanze maggiori fu costituita dal fenomeno dell'eco, dipendente dal tempo di propagazione; essa venne superata con l'impiego di appositi soppressori d'eco. Peraltro, rimasero ancora irrealizzati fino alla seconda metà del secolo i collegamenti sottomarini a lunga distanza.

Alte frequenze. - Il terzo passo evolutivo delle tecniche di trasmissione, che risultò fondamentale sia sotto l'aspetto qualitativo sia sotto quello economico è rappresentato dalla telefonia multipla in alta frequenza . Con questo sistema viene utilizzata pienamente la capacità trasmissiva delle linee aeree e dei cavi, suddividendo il campo delle frequenze trasmissibili in numerose bande della larghezza di 4 kHz, corrispondenti ad altrettanti canali telefonici traslati in frequenza mediante modulazione (v. fig. 14).

Sotto l'aspetto economico i costi della linea, degli amplificatori, ecc., anziché pesare su un solo circuito, possono essere ripartiti fra numerosi circuiti, il cui costo specifico diminuisce. Poiché le apparecchiature terminali presentano costi certo non indifferenti, la telefonia in alta frequenza risulta vantaggiosa soltanto al di là di certi valori di costo della linea, cioè oltre certe distanze (per es. 15 km). Per la medesima ragione, per distanze maggiori è particolarmente conveniente introdurre un gran numero di canali nella stessa linea, nella misura in cui il mezzo lo consente.

Per le linee aeree si ha un limite invalicabile intorno a 150 kHz. Oltre tale valore la linea tende a comportarsi come un'antenna e presenta sia un forte aumento dell'attenuazione, sia la perdita della segretezza. Perciò non è superabile il massimo di 12 canali multiplati, con un impegno di banda di 12 × 4 = 48 kHz per ciascun verso di trasmissione. Per i cavi normali (non pupinizzati, poiché la pupinizzazione ha l'effetto di un filtro passa-basso che taglia le alte frequenze) non esiste un limite di frequenza invalicabile. D'altra parte, però, al crescere della frequenza crescono sia l'attenuazione, ossia il numero degli amplificatori intermedi necessari, sia la diafonia tra i conduttori, ossia l'interferenza tra i canali. Con le tecnologie disponibili prima del 1950 l'optimum tecnico-economico era di circa 12 canali, come per le linee aeree. Questi limiti furono poi largamente superati e la telefonia multipla in alta frequenza fu quindi ben più pienamente applicata, con l'impiego di due nuovi e potenti mezzi portanti: i cavi coassiali e i ponti radio a microonde; ma tali mezzi, sebbene inventati nella prima metà del secolo, iniziarono a diffondersi largamente appena intorno al 1950.

e) Tecniche per il servizio telegrafico.

Per quanto riguarda gli sviluppi evolutivi della telegrafia nella prima metà del Novecento, giova rammentare che il segnale telegrafico, contrariamente a quello telefonico, è per sua natura numerico. Più in particolare, esso è binano, cioè rappresentabile con cifre zero e uno; infatti, gli stati elettrici che la linea può presentare a un certo istante sono soltanto due: ‛non segnale' oppure ‛segnale' (v. fig. 15). Di conseguenza, non ci furono per la trasmissione telegrafica primitiva vincoli stringenti come per la trasmissione telefonica, nel senso di dover evitare ogni deformazione del segnale e ogni disturbo: fu sufficiente, invece, anche su linee di cattiva qualità, riconoscere a opportune distanze il segnale e rigenerarlo, reintegrandolo con ciò pienamente. Fu quindi possibile l'impiego, per la telegrafia, di una rete di caratteristiche ben più modeste rispetto a quella telefonica. I segnali telegrafici poterono essere trasmessi soddisfacentemente alle massime distanze attraverso semplici linee aeree unifilari. Distanze notevoli poterono essere coperte anche con cavi, seppure con qualche difficoltà legata alla distorsione degli impulsi nel tempo. Già nel 1858 fu possibile la posa del primo cavo telegrafico attraverso l'Atlantico, mentre si rese necessario attendere un secolo, fino al 1956, prima di poter risolvere i corrispondenti ma ben più gravosi problemi dei cavi telefonici transoceanici.

Anche nel campo delle comunicazioni via radio, le prime applicazioni all'inizio di questo secolo, basate sulle esperienze di Marconi e di altri (Hertz, Popov), furono orientate verso la telegrafia, con apparecchi di grande semplicità. È dell'anno 1900 l'installazione su un piroscafo del primo impianto civile di quella telegrafia senza fili che tanta importanza ebbe soprattutto nelle comunicazioni attraverso il mare. Fra l'altro, si completò così per la prima volta la copertura del globo con una rete di telecomunicazione. La scarsa potenzialità della rete mantenne però costantemente elevati i costi specifici di impianto e di esercizio dei suoi singoli circuiti.

A fronte di tale situazione della telegrafia, relativamente statica come consistenza e poco stimolante per ulteriori evoluzioni, intervenne nel corso di questo secolo l'imponente espansione della telefonia, con tecniche raffinate e utenze e circuiti più numerosi di vari ordini di grandezza. La presenza di mezzi trasmissivi telefonici sempre più capillari e potenti rese così conveniente che il telegrafo rinunciasse in gran parte dei casi a una propria rete separata e si appoggiasse alla rete telefonica. Conseguentemente, la linea di un apparecchio telegrafico è oggi frequentemente costituita da un doppino di tipo telefonico e i circuiti telegrafici sono ricavati da circuiti di tipo telefonico.

Tenuto presente che gli impulsi telegrafici usuali hanno la durata di 20 millisecondi o più, essi possono venir trasmessi correttamente attraverso la modulazione (in ampiezza oppure in frequenza) di una portante, impegnando una banda di appena 120 Hz. Un sistema in uso pev linee di utente è quello di impegnare per un canale telegrafico la banda compresa tra 1440 e 1560 Hz, che viene sottratta alla telefonia senza però provocarne un apprezzabile peggioramento di qualità. Più frequentemente un circuito telefonico viene interamente dedicato alla telegrafia. Questo procedimento cosiddetto della telegrafia armonica è simile, sia come principio, sia come fondamento economico, a quello della telefonia multipla in alta frequenza e consente di allocare in un circuito telefonico 24 canali telegrafici. La banda di tali canali equivale alla banda utile di un canale telefonico (360 ÷ 3240 Hz) e, una volta immessa nel sistema trasmissivo telefonico, ne segue le vicende: modulazioni, multiplazioni, amplificazioni in bassa e in alta frequenza, ecc., fino alla restituzione all'estremità lontana dove sono collocate le apparecchiature di telegrafia armonica corrispondenti.

Oltre alla telegrafia senza fili e alla telegrafia armonica, altri due passi evolutivi furono fatti nella prima metà di questo secolo: l'impiego della telescrivente e l'automatizzazione del servizio telegrafico.

La telescrivente presenta, rispetto ai precedenti sistemi, il vantaggio di una tastiera del tipo macchina per scrivere: non occorrendo né la conoscenza del codice né l'adattamento a un dato ritmo da parte dell'operatore, questi può essere un normale dattilografo. Tutte le macchine telescriventi impiegano in trasmissione e in ricezione un unico codice. Esso è l'alfabeto telegrafico internazionale n. 2, in cui ciascun carattere (lettera o cifra) viene trasmesso con un segnale costituito da 7 elementi. Di questi, il primo e il settimo hanno funzioni rispettivamente di avviamento e di arresto e gli altri 5 sono variabili e consentono quindi 25 = 32 combinazioni (di cui due servono al passaggio a lettere e al passaggio a cifre). Sotto l'aspetto della velocità, poiché i primi 6 elementi di ciascun segnale hanno la durata di 20 millisecondi e il settimo è di 30 millisecondi, la durata di ciascun segnale è di 150 millisecondi. Le telescriventi sono, perciò, in grado di funzionare anche al ritmo di un buon dattilografo, che è di 5-6 battute al secondo. Inoltre, la stampa dei caratteri avviene su foglio, analogamente alle normali pagine dattiloscritte.

L'introduzione delle telescriventi, e fondamentalmente l'adozione per esse di un codice normalizzato, costituirono la condizione fondamentale per l'automatizzazione del servizio. Va tenuto presente che, per la telegrafia, commutazione manuale non significava interconnessione tra due circuiti, ma ricezione dell'intero testo e successiva ritrasmissione verso la destinazione. Ne conseguivano a ogni transito notevoli ritardi, oneri di personale ed errori, che vengono tutti convenientemente evitati con l'automatizzazione. Il servizio automatico si realizza impiegando centrali di tecniche simili a (anzi generalmente derivate da) quelle della commutazione telefonica. Anche la struttura delle due reti diviene simile, fatte salve le inevitabili diversità e principalmente quella dimensionale. La segnalazione è differente, sia perché sono differenti i significati dei segnali che interessano, sia perché nella rete telegrafica è possibile e conveniente impiegare per la segnalazione il medesimo alfabeto normalizzato impiegato per la comunicazione.

L'automatizzazione della rete ha consentito anche di realizzare un nuovo servizio: il telex. In esso la telescrivente è installata non presso il gestore del servizio ma presso l'utente (generalmente un ente o una ditta) che provvede con proprio personale all'invio dei messaggi. Nonostante i numerosi vantaggi, l'elevato costo di impianto e di esercizio delle apparecchiature singole d'utente (telescrivente, linea, terminazione in centrale) limita l'impiego del telex a utenti con traffico sufficientemente elevato. In confronto con l'utenza telefonica il rapporto è, nel mondo, di qualche per mille.

3. L'evoluzione in atto.

La metà del XX secolo è segnata da due eventi fondamentali: 1) l'enunciazione della moderna ‛teoria dell'informazione', avvenuta nel 1948-1949 a opera di N. Wiener e C. E. Shannon ; 2) l'invenzione del transistore, avvenuta nel 1947 nei laboratori Bell degli Stati Uniti. Sotto l'aspetto scientifico il Wiener, rivolgendo la propria attenzione ai controlli automatici, dava inizio alla ‛cibernetica', la cui importanza nel campo dei calcolatori è universalmente nota. Meno divulgate, ma più particolarmente importanti per le telecomunicazioni furono, però, le opere di Shannon che, esprimendo in termini probabilistici le definizioni di segnale e di rumore interferente sui canali di comunicazione, diedero una sistemazione scientifica al concetto intuitivo di trasmissione dell'informazione (v. fig. 16). La nuova teoria impresse una svolta decisiva all'evoluzione delle telecomunicazioni e costituisce tuttora riferimento e strumento nello svilupo della tecnica (v. informazione: Trattamento e trasmissione dell'informazione). Per converso, sotto l'aspetto industriale, né le teorie di Shannon né quelle di Wiener avrebbero potuto trovare quell'applicazione che hanno avuto, senza l'invenzione del transistore. Come in altri campi, anche in quello delle telecomunicazioni l'interattività fra la ricerca scientifica e lo sviluppo industriale provocò un duplice effetto . Da un lato furono poste le premesse per l'evoluzione di quella tecnologia che va sotto la definizione generale di ‛elettronica allo stato solido', con i suoi formidabili vantaggi soprattutto in termini di sicurezza di funzionamento, di costo e di compattezza di componenti e di circuiti (v. fig. 17). D'altro lato, da un processo che ancor oggi continua, scaturirono nuove e sempre più avanzate e convenienti generazioni di apparecchiature di trasmissione, di commutazione, di trattamento della segnalazione e di comando. Tenuto conto di ciò, è sembrato opportuno considerare in questo capitolo l'evoluzione svoltasi tra il 1950 e il 1975, e dedicare i successivi capitoli 4 e 5 alle sue proiezioni per l'ultimo quarto di secolo, ancora in corso.

a) Tecniche di trasmissione.

L'avvento dei componenti elettronici allo stato solido ha reso anzitutto possibili notevoli miglioramenti tecnici nei sistemi trasmissivi preesistenti, che oggi si dicono analogici. In tale ambito vennero sviluppate apparecchiature transistorizzate sostitutive di tutte le apparecchiature a valvole. Ma è soprattutto da rilevare che il transistore ha costituito l'elemento nuovo e indispensabile per una profonda modifica che è tuttora in atto, secondo indirizzi non analogici ma numerici, e che riguarda l'intera impostazione sistemistica delle reti di telecomunicazioni.

Evoluzione dei sistemi analogici. - Come appena accennato, il passaggio dalla tecnologia a tubi termoionici a quella a transistori ha permesso di realizzare apparecchiature trasmissive più affidabili, più compatte e aventi una dissipazione termica limitata. Per dare un'idea della misura di tale fatto, valga un solo esempio, nel campo delle apparecchiature per telefonia multipla in alta frequenza nel volume di un telaio standard di 600 × 2600 × 225 mm è possibile allocare, con la tecnologia a tubi, un sistema di 12 canali telefonici multiplati, e 25 di tali sistemi con la tecnologia allo stato solido, per un totale di 300 canali, lasciando sostanzialmente immutato il consumo complessivo del telaio stesso. Gli stessi progressi si sono fatti sentire non solo per il servizio telefonico ma anche per il servizio telegrafico, e ciò sia direttamente, per l'ammodernamento delle apparecchiature di telegrafia armonica, sia indirettamente, come conseguenza dell'evoluzione della rete telefonica usata come supporto.

Per quanto riguarda i mezzi portanti della trasmissione in generale, si è già detto che a dar vita alla vasta diffusione della telefonia sulle lunghe distanze a partire dagli anni cinquanta furono i cavi coassiali e i ponti radio a microonde. Essi costituiscono oggi le dorsali a lunga distanza delle grandi reti nazionali e continentali. Si può anzi ben dire che la buona qualità trasmissiva, assieme al costo relativamente basso dei sistemi in alta frequenza su tali portanti, costituirono la condizione determinante per la successiva piena automatizzazione del servizio telefonico, cioè per lo sviluppo della teleselezione da utente su scala nazionale, internazionale e intercontinentale. Ambedue i mezzi ebbero già impieghi tecnicamente validi in associazione con apparecchiature a tubi termoionici. Per il cavo coassiale ebbe, per esempio, larga diffusione il sistema con conduttori di diametro interno/esterno di 2,6/9,5 mm e con amplificatori a larga banda eseguiti con tecnologia a tubi termoionici e distanziati con passo di amplificazione di 10 km. In una coppia di coassiali di questo tipo (un cavo per verso) possono essere allocati fino a 960 canali telefonici (cioè di banda 4 kHz) poiché la larghezza di banda complessiva del sistema è di circa 4 milioni di hertz (~ 4 MHz). L'impiego di apparecchiature transistorizzate e in particolare l'adozione di più numerosi amplificatori a larga banda intermedi, di minore consumo e telealimentati, consentono oggi di trasmettere con il medesimo portante una banda complessiva alquanto più larga. Sono infatti attualmente in servizio sistemi con passo di amplificazione di 4,5 km e 2700 canali e sistemi con passo di 1,5 km e 10.800 canali.

Per quanto attiene ai ponti radio, è noto che essi funzionano a frequenze altissime (VHF, UHF e SHF), che presentano proprietà di propagazione prossime a quelle della luce e possono essere concentrate da appositi proiettori (paraboloidi) in angoli solidi molto sottili, minimizzando l'attenuazione e la dispersione Anche per questi mezzi si è avuto il progressivo passaggio alla moderna tecnologia dello stato solido, che, negli impianti più recenti, ha potuto essere adottata anche per l'ultimo stadio di potenza degli amplificatori, ottenendo vantaggi sotto i profili dell'affidabilità, degli ingombri e dei consumi, oltre che del rapporto segnale/rumore. Anche sotto l'aspetto della potenzialità i ponti radio a microonde continuano a offrire un'efficiente alternativa ai cavi coassiali. Per esempio, la gamma intorno a 7 GHz può essere canalizzata fra 6,44 e 7,10 GHz in 16 fasci herziani contigui facilmente separabili, ognuno dei quali in grado di allocare una banda di 12 MHz, corrispondente a 2700 canali.

In definitiva, attraverso cavi coassiali e ponti radio, in concomitanza con l'impiego di apparecchiature transistorizzate, si è potuto ottenere un imponente aumento della capacità (in circuiti) dei singoli mezzi portanti, seguendo quella motivazione tecnico-economica che spinge a frazionare i costi delle linee fra il maggior numero di canali. Ultenori aumenti di capacità dei portanti analogici non sono da escludere per il futuro, ma sembrano improbabili, anche perché al sempre più esasperato frazionamento dei mezzi corrispondono altrettanto esasperate prescrizioni in termini di filtraggio, di equalizzazione, di regolazione. La necessità di base di questi sistemi è infatti quella di evitare lungo ogni tratta l'introduzione di deformazioni del segnale e di disturbi, che nelle tratte successive risulterebbero non distinguibili dal segnale stesso.

Parallelamente, sotto il profilo tecnologico, è da rilevare un'ulteriore evoluzione in atto, tendente a demandare a un unico componente (circuito integrato) funzioni sempre più complesse. Particolarmente interessante è la tecnologia dei circuiti ibridi, che consiste nel realizzare gli elementi passivi del circuito mediante deposito di materiale conduttore su una base ceramica, e nel collocare poi direttamente su questa base i semiconduttori costituenti gli elementi attivi; gli elementi passivi possono essere unicamente resistenze e capacità, con l'esclusione delle induttanze (v. fig. 18). Ma è pure da rilevare che le prospettive di tale evoluzione appaiono limitate infatti, finché l'impiego è riferito alla trasmissione in forma analogica, non è possibile sfruttare a pieno i bassi tempi di funzionamento propri dei circuiti integrati utilizzando lo stesso componente per più operazioni in parallelo. Sarà chiarito più avanti che le limitazioni indicate, relative sia agli aumenti di capacità dei portanti sia allo sfruttamento dei vantaggi potenziali dei componenti integrati, risultano invece superabili con l'adozione di tecniche numeriche anziché analogiche.

Sistemi analogici intercontinentali. - Quello dei sistemi trasmissivi intercontinentali è un ramo della telefonia analogica che merita di essere considerato a parte, sia perché fino a questa seconda metà del secolo il servizio telefonico intercontinentale è rimasto praticamente inconsistente (salvo l'eccezione di pochi canali via etere, con scarse possibilità di estensione), sia perché i costi molto alti dei portanti intercontinentali, una volta realizzati, hanno reso necessaria l'adozione di particolari e raffinate soluzioni tecniche.

Il primo cavo telefonico intercontinentale (TAT-1), della capacità di 36 canali, venne posato fra la Scozia e Terranova e aperto al servizio nel 1956. Esso impiegava amplificatori sommersi realizzati con una sofisticata tecnologia a tubi termoionici, che era stata in quel tempo preferita a quella a transistori, la cui affidabilità era ritenuta ancora insufficientemente sperimentata. In questi ultimi tempi i progressi sono stati molto rapidi, sia dal punto di vista tecnologico (adozione di componenti allo stato solido) sia dal punto di vista della capacità. Nel 1960 venne introdotto sul primo cavo TAT-1 il sistema TASI (interpolazione della fonia ad assegnazione temporale), che permette di raddoppiare sostanzialmente la capacità del mezzo, sfruttando le pause della normale conversazione (v. fig. 19). Il più recente cavo transatlantico (TAT-5), entrato in servizio nel 1970, ha la capacità di 845 canali e il successivo porterà 1840 canali (un cavo di tal genere, MAT-1, è entrato in servizio nel 1974 tra Italia e Spagna).

Parallelamente alla posa di nuovi cavi transoceanici, l'estensione del servizio telefonico intercontinentale si realizza anche col lancio di satelliti per telecomunicazioni. I primi esperimenti ebbero inizio nel 1960 con il satellite Echo I, di tipo passivo e su orbita ellittica. A esso seguirono nel 1962-1963 i satelliti Telstar e Relay, di tipo attivo, ossia forniti di veri e propri impianti ricetrasmettitori, antenne e stazioni di energia; anche questi operavano su orbita ellittica e rimanevano quindi solo a tratti nella zona di visibilità comune alle due stazioni terrestri. Una successiva evoluzione avvenne con i satelliti ‛geostazionari' del tipo Syncom che, percorrendo un'orbita circolare sul piano equatoriale a un'altezza di circa 36.000 km, hanno un periodo di rivoluzione esattamente di 24 ore e appaiono quindi fissi rispetto alla Terra. Sono sufficienti 3 satelliti di questo tipo per coprire una fascia comprendente tutte le zone abitate del globo. La fase sperimentale terminò nel 1965, con il lancio del satellite Early Bird, che assunse successivamente il nome di INTELSAT I. A questo sono seguite successive generazioni di satelliti INTELSAT che, collocati sopra gli oceani Atlantico, Indiano e Pacifico, hanno permesso, insieme ai cavi transoceanici, di adeguarsi al rapido sviluppo del traffico. La capacità dei satelliti più recenti (INTELSAT IV) è compresa fra 6000 e 9000 canali telefonici per satellite. Sull'INTELSAT IV sono installate antenne di due tipi quelle a copertura ‛globale', che hanno un'apertura di 17°, tale da coprire tutta l'area visibile della Terra, e quelle direttive dette ‛con fascio a macchia', che hanno un'apertura di 4,5° e sono regolate in modo da essere puntate verso aree limitate a intensità di traffico elevata (per es. Europa occidentale e Nordamerica). È normalmente impiegato il sistema ‛multidestinazione', secondo il quale ciascuna stazione terrestre trasmette di norma una sola portante, su cui sono allocati i canali destinati a tutti i corrispondenti; in ricezione tutte le stazioni ricevono tutte le portanti ed estraggono i canali che interessano.

L'orientamento attuale prevede, soprattutto per ragioni di sicurezza, che il traffico fra satelliti e cavi transoceanici sia equamente ripartito.

Sistemi numerici. - Nel 1938 venne enunciato da A. H. Reeves un metodo completamente nuovo di trasmettere i segnali telefonici, che prese il nome di modulazione a impulsi codificati (o PCM, dalle iniziali di Pulse Code Modulation). Esso consiste essenzialmente nel trasmettere in linea il segnale, anziché sotto forma analogica, sotto forma di sequenza di numeri esprimenti i valori man mano assunti dal segnale stesso agli istanti t 1 , t 2 , t 3 , ecc. I numeri sono trasmessi di norma in codice binario, per esempio sotto forma di assenza o presenza di segnale (v. figg. 20 e 21). Nel punto in cui si effettua la conversione del segnale in forma numerica viene introdotta sistematicamente una degradazione del segnale stesso. Per contro, a partire da quel punto si può fare in modo, come già si disse per i segnali telegrafici, che le cifre binarie inviate in linea vengano ricevute all'estremità d'arrivo in forma corretta, grazie all'impiego di un numero sufficientemente elevato di rigeneratori intermedi, in altri termini, vi è la quasi completa immunità nei confronti dei rumori di linea. Appaiono così superabili, a vantaggio della qualità del servizio, gli stringenti vincoli impliciti nella trasmissione analogica e legati al fatto che, in questa, ogni tratto di linea contribuisce con la sua quota di rumore, che non può più essere separata dal segnale.

Per contenere la degradazione sistematica introdotta nel punto di numerizzazione vengono adottati due provvedimenti 1) il campionamento viene effettuato con adeguata frequenza. Si dimostra che la degradazione causata si annulla se la frequenza di campionamento è eguale al doppio della massima frequenza del segnale (per un segnale telefonico la cui frequenza massima è di 4 kHz ciò corrisponde a un prelievo di campioni 8000 volte al secondo, ossia con periodo di 125 μs); 2) si impiega una scala di quantizzazione con un numero N di possibili valori elevato quanto basta a ridurre a valori accettabili il ‛rumore di quantizzazione'. Per un segnale telefonico, tale rumore è reso inavvertibile per qualunque condizione di rete quando N = 256, cioè quando per la codifica sono disponibili 8 elementi binari, ossia 8 bit. In tal modo, la trasmissione del segnale fonico viene a corrispondere alla trasmissione di 8 bit (un ottetto) a ogni periodo di 125 microsecondi, cioè alla frequenza di cifra di 64.000 bit al secondo (64 kbit/s). Ragioni tecniche (capacità del più comune portante telefonico, la coppia di conduttori in cavo, di trasmettere frequenze di cifra alquanto superiori) e ragioni economiche (necessità di frazionare fra molti canali il costo dei codificatori) fanno sì che la telefonia numerica sia sempre multipla (v. fig. 22). Il raggruppamento di base (primario) comprende 30 canali utili più due di servizio e la sua frequenza di cifra in linea è quindi di circa 2 milioni di bit al secondo (~ 2 Mbit/s).

Sebbene la trasmissione numerica fosse stata ideata, come si disse, negli anni trenta, fu però necessario attendere fino all'invenzione del transistore perché i suoi principî teorici potessero trovare applicazioni pratiche sotto forma di apparecchiature di buona affidabilità, di consumo e spazio contenuti e di costo competitivo (v. fig. 23). I primi sistemi PCM entrarono, quindi, in servizio solo all'inizio degli anni sessanta; ebbe inizio così una graduale penetrazione di mezzi numerici nella rete che, superando le difficoltà iniziali dovute alla conversione delle tecniche, è pienamente in atto nel momento attuale.

Sono state frattanto sviluppate anche apparecchiature di multiplazione di ordine superiore al primo: per esempio quelle di secondo ordine raggruppano quattro sistemi primari a 2 Mbit/s, trasmettendo quindi su un unico portante 120 canali utili alla frequenza di cifra di circa 8 Mbit/s. Tali multiplatori sono totalmente di tipo numerico, cioè trattano il segnale esclusivamente nella forma già codificata. In effetti, i sistemi numerici appaiono alquanto favoriti dalla possibilità di sfruttare completamente l'elevata velocità di funzionamento dei componenti elettronici, utilizzando lo stesso componente a divisione di tempo per più operazioni in parallelo: per esempio, nel codificatore, un unico circuito è sufficiente per effettuare ciclicamente, in successione temporale, la quantizzazione e la codifica relative a tutti i 30 ingressi. Anche operazioni fin qui tradizionalmente analogiche, come funzioni di filtraggio per il riconoscimento della presenza di una frequenza, possono essere effettuate da un unico organo numerico, a divisione di tempo, direttamente su segnali PCM. Anche in prospettiva, l'evoluzione dei sistemi numerici e quella tecnologica appaiono procedere di pari passo: da un lato si prevede che la tecnologia metta a disposizione componenti integrati numerici (cioè a due stati) di velocità sempre maggiori; dall'altro, i sistemi numerici tendono ad avere capacità sempre maggiori e di conseguenza sempre più elevate frequenze di cifra.

b) Tecniche di commutazione.

Nel campo della commutazione, la penetrazione della tecnologia elettronica è stata e rimane tuttora molto più lenta che nel campo trasmissivo, e ciò principalmente per due motivi. In primo luogo, per quanto riguarda le funzioni di connessione, mentre i tradizionali contatti metallici di tipo relè presentano delle ottime caratteristiche elettriche (ossia, sostanzialmente, rapporti elevati fra l'impedenza del contatto aperto e quella del contatto chiuso), la tecnologia a semiconduttori presenta invece ancor oggi notevoli difficoltà nella realizzazione di punti di incrocio di caratteristiche corrispondenti. Ciò ne impedisce le applicazioni pratiche, per ragioni di mutuo disturbo fra comunicazioni contemporanee nell'ambito di grandi matrici di connessione, se non per usi molto limitati (centralini privati, o militari, e così via). In secondo luogo, per quanto riguarda le funzioni di comando, nonostante la particolare attitudine dei semiconduttori a essere impiegati nelle tecniche numeriche e quindi nelle logiche, l'avvento dei componenti elettronici ha trovato davanti a sé problemi considerevolmente più complessi che nel campo della trasmissione. Nella trasmissione, infatti, le apparecchiature costituenti un sistema sono localizzate in punti diversi e ben definiti della rete, e per ognuna di esse risulta relativamente agevole individuare le caratteristiche esterne da prescrivere per un corretto funzionamento dell'intero sistema. Inoltre, ogni apparecchiatura svolge singolarmente un numero di funzioni alquanto ridotto (basti pensare che un sistema PCM a 30 canali può essere contenuto entro un volume di 10 ÷ 15 dm3). Nel campo della commutazione, invece, considerando, per esempio, un autocommutatore a registri e marcatori da 10.000 utenti, esso risulta costituito come un tutto unico, che occupa un locale di oltre un centinaio di metri quadrati; sebbene in esso siano distinguibili le apparecchiature elementari, ciascuna di esse è di norma strettamente interagente elettricamente e funzionalmente con numerose altre apparecchiature dell'autocommutatore stesso. In alcuni casi, la sostituzione di blocchi funzionali elettromeccanici con apparecchiature di tipo elettronico è apparsa economicamente proponibile ed è stata effettivamente eseguita, ma tali casi sono risultati rari, limitati e in genere di scarso vantaggio. La ripartizione ottimale dei compiti propri di un autocommutatore fra diversi blocchi funzionali componenti è in realtà fortemente influenzata dalle tecnologie impiegate. Risulta quindi di norma improponibile la mera sostituzione di un organo elettromeccanico con un organo corrispondente elettronico: occorre invece sviluppare una nuova e diversa architettura dell'intero sistema di commutazione, impostata sulla base della nuova tecnologia.

Per quanto riguarda le logiche di comando degli autocommutatori telefonici, sostanziali vantaggi derivano dai progressi già acquisiti nel campo degli elaboratori. Infatti, considerando globalmente i diversi settori dell'industria elettronica, appare evidente che l'avvento dei semiconduttori per funzioni logiche ha trovato uno sbocco ben più immediato nel campo degli elaboratori. Basti pensare che il progetto del primo elaboratore a transistori fu compiuto nel 1958 e che già nel 1961 il numero degli elaboratori a transistori (cioè della seconda generazione) in funzione era superiore a quello dei preesistenti elaboratori a tubi (della prima generazione). Ciò fu diretta conseguenza del fatto che per gli elaboratori il punto di partenza era una struttura logica molto semplice (seppure sensibilmente più complessa delle precedenti macchine da calcolo) e che le loro prestazioni erano determinate dai loro limiti intrinseci piuttosto che da precise necessità dell'utilizzatore; le prestazioni, in effetti, sono andate evolvendosi in parallelo al progredire delle macchine. Invece, nel caso delle centrali di commutazione, le prestazioni fondamentali richieste agli organi di comando erano non solo note, in quanto realizzate dagli automatismi a relè, e sostanzialmente irriducibili, ma risultavano largamente superiori alla capacità dei primi elaboratori. Fu quindi necessario attendere che gli elaboratori, attraverso un rapido susseguirsi di generazioni, raggiungessero un elevato grado di raffinatezza perché potessero trovare possibile impiego nella corsa alla centralizzazione delle funzioni logiche degli autocommutatori. È da notare che l'impiego degli elaboratori per funzioni di comando comporta un sostanziale cambiamento nel processo di centralizzazione delle funzioni logiche degli autocommutatori, in quanto l'elaboratore è una macchina capace di svolgere in successione (mediante opportuna programmazione) funzioni anche profondamente diverse l'una dall'altra. Venne quindi meno la tendenza, propria delle centrali elettromeccaniche, alla specializzazione degli organi (registri, marcatori, traduttori, ecc.). Per contro, fu esasperato il processo di centralizzazione, passando a un unico organo centralizzato che sovrintende, più o meno direttamente, a tutte le funzioni svolte dall'autocommutatore. Di fatto, al momento attuale, la diffusione di autocommutatori (pur con selettori elettromeccanici) comandati per mezzo di apparecchiature elettroniche può essere considerata come un fatto rilevante soltanto negli Stati Uniti. In tutti gli altri paesi, anche dove si è superata la fase sperimentale, il loro effettivo impiego è ancora assai limilato.

Centrali semielettroniche. - Un sistema di commutazione costituito da una rete di connessione elettromeccanica e da organi di comando elettronici prende il nome di sistema di commutazione semielettronico. In un sistema di tal genere si distingue, inoltre, una rete di trasferimento, parzialmente elettromeccanica e parzialmente elettronica (v. fig. 24), con funzioni di interfaccia fra il comando centrale e la rete di connessione. La rete di connessione è analoga a quella delle più moderne centrali elettromeccaniche e comprende terminazioni d'utente, stadi di commutazione, circuiti di cordone, nonché traslatori per collegamenti con altre centrali secondo vari tipi di segnalazione. Gli stadi di commutazione sono realizzati mediante multiselettori a coordinate, normalmente miniaturizzati rispetto a quelli impiegati nelle centrali di generazione precedente, ovvero mediante matrici di singoli relè, normalmente con contatti protetti in atmosfera di gas inerte. I circuiti di cordone e i traslatori sono alquanto semplificati rispetto a quelli delle centrali elettromeccaniche, in quanto sono ora costituiti essenzialmente soltanto dai circuiti ricevitori e inviatori dei segnali elettrici, poiché tutte le funzioni logiche sono demandate a organi centralizzati.

La rete di trasferimento effettua principalmente l'adattamento fra i numerosi e relativamente lenti organi elettromeccanici costituenti la rete di connessione, da un lato, e, dall'altro, il comando centrale, che è unico e dotato di velocità elettronica. Essa è costituita essenzialmente da dispositivi di supervisione, da dispositivi di comando e da memorie di trasferimento per la trasmissione degli ordini e indirizzi da e verso il comando centrale. I dispositivi di supervisione esplorano frequentemente gli stati elettrici dei fili nelle terminazioni d'utente, nei circuiti di cordone e nei traslatori, per rilevare i cambiamenti di stato vengono cosi riconosciute tutte le richieste di collegamento e di disinnesto, le cifre di selezione inviate direttamente dagli utenti ovvero da altre centrali e in generale tutte le informazioni elettriche costituenti la segnalazione. I dispositivi di comando eseguono sia il posizionamento degli stadi di commutazione sia l'azionamento degli inviatori posti nei circuiti di cordone, nei traslatori ed eventualmente nelle terminazioni d'utente. Le memorie di trasferimento hanno, da un lato, il compito di ricevere dal comando centrale ordini indirizzati di azionamento o di supervisione, e di trasferirli ai dispositivi in indirizzo; dall'altro, di ricevere dai suddetti dispositivi sia i risultati relativi all'attuazione degli ordini sia i dati ottenuti dal processo di esplorazione, e di trasferirli al comando centrale. In tale quadro, l'intera centrale appare come una moltitudine di organi passivi sotto il controllo del comando centrale, che è il cervello del sistema: è quest'ultimo che prende ogni iniziativa, sia per operazioni interne (per es., posizionamento dei selettori), sia per l'invio di segnali in partenza dalla centrale, sia anche per decidere quando è il caso di dar retta a un eventuale segnale in arrivo.

È evidente, per l'estrema centralizzazione delle funzioni intelligenti e per l'estrema velocità di funzionamento dell'organo centrale, l'ulteriore passo evolutivo rispetto alle centrali a registro e alle centrali a marcatori, tipiche delle generazioni precedenti.

Il comando centrale è sostanzialmente, come già si è detto, un elaboratore elettronico. Come negli elaboratori commerciali, in esso sono distinguibili un'unità centrale di elaborazione (CPU), memorie programmi e memorie dati e unità di ingresso/uscita. Anche il funzionamento è analogo: la CPU è costituita da una serie limitata di operatori, che vengono di volta in volta attivati da apposite istruzioni in codice binario provenienti dalla memoria programma. Ciascun operatore è un circuito elettronico in grado di svolgere una certa operazione sopra un limitato numero di operandi; anche questi vengono estratti di volta in volta dalla memoria dati oppure dall'unità di ingresso/uscita, sulla base di apposite istruzioni provenienti dalla memoria programma. È però da notare che negli elaboratori commerciali più comuni, per esempio quelli adibiti a centri di calcolo, le memorie dati contengono di norma delle espressioni numeriche anziché logiche; inoltre, gli operatori delle CPU sono orientati prevalentemente verso operazioni di tipo aritmetico (somme, divisioni, ecc.). Nei comandi delle centrali telefoniche, invece, le memorie dati contengono di norma delle espressioni di stato (stato delle linee d'utente, stato dei circuiti di cordone con indicazione dei dati relativi alla comunicazione: utente chiamante, numero formato, fase del collegamento, lista degli organi impegnati, ecc.); corrispondentemente, gli operatori delle CPU sono organizzati per svolgere di norma delle operazioni logiche anziché aritmetiche (confronti, scelta del primo bit eguale a uno in una parola, in relazione alla scelta di un organo libero e raggiungibile, ecc.) (v. fig. 25).

A parte ciò, e a parte l'estrema complicazione del programma (ossia della lista di istruzioni), negli elaboratori adibiti a comandi centrali sono da rilevare alcune peculiarità di prestazioni e di struttura che li rendono decisamente specializzati. In primo luogo, poiché le centrali telefoniche devono rimanere in servizio ventiquattr'ore su ventiquattro con continuità praticamente assoluta, la presenza di un unico elaboratore non può essere sufficiente; è perciò necessario che il comando centrale sia costituito almeno da una coppia di elaboratori. Di norma i due elaboratori vengono fatti marciare in parallelo: uno come principale e l'altro come riserva calda, cioè continuamente aggiornato sull'andamento dei processi in corso e pronto a intervenire al posto del primo. Notevoli problemi di struttura e di programmazione sono legati alla marcia in parallelo e al rilevamento automatico, tempestivo e sicuro dell'elaboratore difettoso in caso di guasto. In secondo luogo, e per lo stesso motivo, un elaboratore difettoso ed escluso deve essere rapidamente rimesso in grado di funzionare, pur disponendo di personale di manutenzione non altamente qualificato né provvisto di raffinati strumenti. Conseguentemente è necessaria la diagnosi automatica di tutti gli organi per l'individuazione di quello guasto, a livello di poche piastre stampate, al limite una sola. Il personale deve poter sostituire la piastra guasta con una nuova su indicazioni che gli provengono automaticamente dal comando centrale stesso, per esempio via telescrivente. Ciò impone, ovviamente, notevoli oneri sia nei circuiti sia nei programmi. In terzo luogo (ma non ultimo quanto a importanza e oneri) il comando centrale deve operare in tempo reale. Ciò significa che esso deve eseguire con tempestività tutte le numerose funzioni che gli vengono richieste dai diversi segnali provenienti dal mondo esterno. Alcune funzioni devono essere svolte senza indugio (per es. la ricezione di un segnale impulsivo prima che questo scompaia); ma anche le funzioni meno urgenti (come potrebbe essere il rilevamento di uno sgancio da parte di un utente chiamante) non possono essere rimandate nemmeno di un secondo. La funzione di massima precedenza è, ovviamente, il controllo del corretto funzionamento del comando stesso, a evitare che un guasto inquini fulmineamente l'intero sistema. A tal fine è necessario, da un lato, che la velocità di elaborazione sia adeguata alle esigenze del processo, cioè alla capacità della centrale e, dall'altro, che il programma sia suddiviso in segmenti corrispondenti alle diverse funzioni in cui può essere scomposto il processo e che a ogni segmento sia assegnata una classe di priorità a seconda dell'urgenza con cui la funzione deve essere eseguita. La gestione dei diversi segmenti è opera della logica di governo, compresa nell'unità di elaborazione, e di appositi programmi di supervisione che, a intervalli regolari di alcuni millisecondi, attivano i programmi a più alta priorità su comando di un orologio. Terminato il lavoro accumulatosi nel frattempo per i livelli più elevati si passa a quelli inferiori, e così successivamente fino al nuovo comando di interruzione da parte dell'orologio.

Per le ragioni fin qui esposte, gli elaboratori per impiego telefonico risultano, rispetto ai normali elaboratori commerciali, decisamente specializzati. È tuttavia mantenuta in essi quella caratteristica fondamentale che è la flessibilità di fronte alle variazioni di programma, per modifiche o per aggiunte di prestazioni (ovviamente nei limiti della capacità di memoria). Pertanto, una qualunque modifica dei programmi di funzionamento richiede soltanto lavoro di studio (anche se considerevole), ma non l'intervento di personale di installazione nelle centrali in esercizio. Inoltre, la possibilità di aggiungere prestazioni consente di fornire all'utenza nuovi servizi, come ad esempio la possibilità che l'utente stesso ‛informi' la centrale dei propri spostamenti e la centrale trasferisca automaticamente ai nuovi numeri le chiamate dirette al numero originale.

Divisione di tempo analogica. - Già si è detto come nella realizzazione di matrici di connessione a punti di incrocio, di dimensioni adatte alle centrali telefoniche pubbliche, la tecnologia a semiconduttori presenti notevoli difficoltà a diventare competitiva rispetto al tradizionale contatto metallico. Una prospettiva di superamento di tale ostacolo si rende possibile sfruttando nelle reti di connessione, come già si fa nelle logiche di comando, la caratteristica tipica del componente elettronico che è l'elevata velocità di funzionamento. Ciò implica anche per le reti di connessione l'abbandono dello schema convenzionale detto ora ‛a divisione di spazio' per passare a nuovi schemi ‛a divisione di tempo'. Secondo questi schemi i canali telefonici possono essere commutati sia in forma analogica, fondata sulla multiplazione PAM, sia in forma numerica, fondata sulla multiplazione PCM.

La commutazione PAM nella sua forma più semplice (v. fig. 26) consiste nella connessione fra N ingressi e N uscite attraverso un'unica autostrada fonica suddivisa ciclicamente in N intervalli temporali. Ogni intervallo temporale è dedicato all'azionamento di due porte: una porta di prelevamento del campione dal canale in ingresso e una porta di restituzione del campione verso il canale in uscita; il numero delle porte di cui è costituito lo stadio è quindi 2N. In una matrice corrispondente a punti di incrocio in tecnica tradizionale (cioè a divisione di spazio) il numero delle porte sarebbe stato invece N2; l'evidente vantaggio è consentito dall'elevata velocità di azionamento delle porte e cresce all'aumentare di N, ossia all'aumentare della potenzialità dello stadio. Cresce però anche, corrispondentemente, il numero degli intervalli temporali in cui il periodo (di 125 μs) deve essere suddiviso; la capacità massima di uno stadio di tal genere è pertanto determinata dal valore limite della velocità di azionamento che la tecnologia permette di conseguire. Per capacità maggiori vengono costituiti stadi (sia di transito sia d'utente) con più di un'autostrada e con una o più matrici di commutazione i cui punti d'incrocio servono all'interconnessione delle autostrade fra loro. Il caso più semplice è costituito dallo schema detto TST, a tre sottostadi: 1) sottostadio temporale T, di attribuzione di un certo intervallo temporale τ k al canale in ingresso; 2) sottostadio ‛spaziale' S per la connessione dell'autostrada cui appartiene l'ingresso con quella cui appartiene l'uscita, nell'intervallo τ k ; 3) sottostadio temporale T, di attribuzione del medesimo intervallo temporale τ k al canale in uscita. Ciascuno dei tre sottostadi è provvisto di una memoria di indirizzamento letta ciclicamente che, per ciascun intervallo, determina le porte da azionare (generalmente più d'una) (v. fig. 27). Si può rilevare che le matrici di commutazione ‛spaziale' così impiegate funzionano esse pure a divisione di tempo in quanto i contatti relativi a una comunicazione, lungi dal rimanere chiusi per tutta la durata della comunicazione stessa, vengono invece azionati a ogni periodo (di 125 μs) soltanto nell'intervallo di tempo dedicato a quella comunicazione. La medesima matrice assume quindi, nei numerosi intervalli temporali in cui il periodo è suddiviso, altrettante configurazioni del tutto indipendenti fra loro, corrispondendo quindi a un ben più costoso insieme di altrettante matrici tradizionali. Pertanto, il vantaggio della divisione di tempo PAM si verifica in ciascuno dei tre sottostadi sotto forma di una considerevole riduzione del numero complessivo delle porte, rispetto alla commutazione tradizionale a divisione di spazio.

Per converso, va tenuto presente che in uno stadio PAM la campionatura con periodo di 125 μs si attaglia a un canale telefonico di banda 4 kHz, mentre in una matrice tradizionale il punto di contatto è di norma trasparente a larghezze di banda ben maggiori. Di conseguenza la rete di connessione, che era nata con la funzione di realizzare connessioni metalliche fra ingressi e uscite disinteressandosi praticamente delle caratteristiche dei segnali che l'attraversano, perde ora la sua caratteristica di assoluta trasparenza.

Divisione di tempo numerica. - La commutazione a divisione di tempo in forma numerica (v. fig. 28) è fondata sulla multiplazione PCM. A centrali di questo tipo possono far capo sia linee analogiche (attraverso co-decodificatori), sia linee numeriche (allacciate direttamente). Una rete di connessione numerica nella sua forma più semplice consiste di una memoria, detta di commutazione, con tante posizioni da 8 bit quanti sono gli ingressi e le uscite. A ogni ciclo di 125 μs i canali depositano ordinatamente nella memoria i rispettivi ottetti e ne estraggono in modo indirizzato gli ottetti depositati dai canali con cui sono rispettivamente in comunicazione. La commutazione è temporale nel senso che gli ottetti vengono commutati parcheggiandoli in memoria fra l'intervallo di tempo proprio del canale in ingresso e l'intervallo di tempo proprio del canale in uscita. In una centrale da 2 000 circuiti la memoria ha la capacità di 2000 × 8 bit; ogni 125 μs essa deve effettuare 4000 operazioni: una di scrittura e una di lettura per ciascuno dei canali. Ciò comporta un tempo di azionamento della memoria di circa 30 nanosecondi (ns), ossia 30 miliardesimi di secondo. Tale valore è vicino all'attuale limite tecnologico. Per capacità maggiori vengono costituiti stadi con più di una memoria e con una o più matrici di commutazione a punti di incrocio. Il caso più semplice è costituito dallo schema detto TST a tre sottostadi: 1) sottostadio temporale T, per la commutazione degli ottetti dall'intervallo τ i di ingresso a un intervallo τ k di ‛trasferimento interno'; 2) sottostadio spaziale S, per il trasferimento degli ottetti dalla memoria di ingresso a quella di uscita, nell'intervallo τ k ; 3) sottostadio temporale T, per la commutazione degli ottetti dall'intervallo τ k all'intervallo τ j di uscita (v. fig. 29).

La rete di connessione non è costituita soltanto dai sottostadi di commutazione T e S e dalle rispettive memorie d'indirizzamento, ma anche da terminazioni di linea PCM, da dispositivi di allineamento, da multiplatori, demultiplatori e da parecchi altri dispositivi più o meno secondari. Tuttavia, trattandosi di dispositivi tutti numerici e perciò facilmente realizzabili con componenti integrati, le dimensioni complessive della rete risultano assai minori di quelle di una rete elettromeccanica corrispondente. Centrali numeriche di transito fra circuiti interurbani sono attualmente in corso di realizzazione industriale in vari paesi. Si valuta che, per tali applicazioni, la somma dei costi della rete di connessione e dei co-decodificatori PCM debba risultare inferiore al costo di qualunque altro tipo di rete di connessione. È da notare particolarmente che, se una centrale numerica effettua la commutazione fra due linee PCM, si possono risparmiare nel nodo i dispositivi di co-decodifica, i cui costi sono alquanto elevati.

Dal punto di vista della qualità, se gli orologi delle centrali ai due estremi di un circuito non sono sincroni, si presenta la possibilità della saltuaria perdita (oppure della doppia lettura) di un ottetto in sede di commutazione; però, con gli orologi già normalmente impiegati, tali inconvenienti sono inavvertibili all'orecchio umano. Invece, il transito effettuato direttamente in forma numerica ha, nel confronto con ogni altra tecnica, il vantaggio di non introdurre nel segnale alcuna degradazione.

Per quanto esposto, appare possibile considerare la commutazione e la trasmissione non come sistemi indipendenti, ma come sottosistemi interallacciati di un unico sistema. Da un lato si impongono così, ad ambedue i sottosistemi, considerevoli vincoli reciproci connessi all'esigenza di assicurare una perfetta compatibilità fra i metodi di trattamento dei segnali impiegati nel processo di trasmissione e quelli impiegati nel processo di commutazione. Ma d'altro lato, in una rete siffatta, che è detta ‛integrata' nelle tecniche di trasmissione e di commutazione, è evitata ogni inutile duplicazione di funzioni fra i due sottosistemi, con evidente aumento della competitività delle tecniche numeriche in generale, sia sotto l'aspetto economico, sia sotto quello qualitativo.

c) Tecniche per la teleinformatica.

Parallelamente all'evoluzione in atto nelle tecniche di trasmissione e di commutazione telefonica, altre tecniche particolari vengono sviluppandosi per le telecomunicazioni da, verso e fra elaboratori. Già si è detto come gli elaboratori rappresentino a tutt'oggi uno dei più evoluti campi di applicazione delle logiche a semiconduttori e costituiscano una spinta fondamentale per l'ulteriore sviluppo di tali tecnologie. Allo stesso tempo, la diffusione e l'evoluzione degli elaboratori non consistono solo in un aumento del numero e della capacità elaborativa dei centri di calcolo: infatti, gli elaboratori vengono oggi dotati non soltanto di terminali locali ma anche di terminali remoti, e ogni sistema di elaborazione diventa così in grado di coprire vasti territori. Inoltre si sente sempre più l'esigenza di interconnettere diversi sistemi fra loro.

Appare evidente come l'informatica a distanza, ossia la teleinformatica, sia condizionata nel suo sviluppo dalle reti di telecomunicazioni esistenti, e in particolare da quella telefonica, per la sua consistenza e capillarità. Ciò porta a promuovere, da un lato, lo sviluppo di apparecchiature complementari per lo sfruttamento dei mezzi di telecomunicazione esistenti e, dall'altro, quando tale sfruttamento non è possibile o conveniente, lo sviluppo di nuovi mezzi sostitutivi. I segnali impiegati nell'informatica sono di regola di tipo binario e vengono chiamati ‛dati'. Con tale termine si intendono sequenze di bit che corrispondono, tramite codici variabili con le applicazioni, sia alle normali lettere e cifre sia a simboli di alfabeti comunque complessi. Per ‛terminali dati' si intendono le sorgenti e/o le destinazioni dei dati; esse possono identificarsi sia con le unità di ingresso/uscita degli elaboratori, sia con altre apparecchiature apposite, le cui caratteristiche possono differire grandemente da caso a caso. Alcuni terminali dati (per es. le telescriventi) sono caratterizzati da una trasmissione intermittente e piuttosto lenta, inferiore a 300 bit al secondo. Altri terminali, che diventano sempre più comuni, hanno una trasmissione senza interruzioni con frequenze di cifra ben più elevate, che vanno in generale fra 600 e 48.000 bit/s. Questi terminali possono disporre di visori, di stampanti veloci, di tastiere, ecc., ed essere specificamente sviluppati per particolari applicazioni (ad esempio per istituti di credito).

Per la telecomunicazione dei dati, a ridosso di ogni terminale viene installata un'apparecchiatura trasmissiva chiamata ‛modem', avente lo scopo di modulare i segnali numerici provenienti dal terminale in modo da renderli trasmissibili a distanza, e di demodularli in ricezione. Sono di impiego generale i modem cosiddetti ‛in banda fonica', che modulano i segnali nella banda di 4000 Hz dei canali telefonici; le velocità normalmente impiegate sono di 600, di 1200 e di 2400 bit al secondo per comunicazioni di tipo bidirezionale contemporaneo (pieno duplice), oppure alternativo (semiduplice). Con l'impiego ditali apparecchiature, numerose applicazioni di teleinformatica sono attualmente realizzate attraverso la normale rete telefonica commutata (v. fig. 30).

Ma certamente, per numerose altre applicazioni la normale e attuale rete telefonica può risultare non altrettanto adatta. In particolare, la velocità di formazione dei collegamenti può costituire un grave ostacolo alla teleinformatica. Ad esempio, mentre per una comunicazione telefonica a lunga distanza della durata di 200 secondi il tempo di 10 secondi per la formazione del collegamento attraverso tutte le centrali e le tratte interessate può apparire sopportabile, poiché costituisce appena un 5% dell'impegno dei circuiti, per un'applicazione dati con durata media della transazione di 2 secondi la stessa tara di 10 secondi può risultare insopportabile, costituendo il 50% del tempo utile. Ben preferibile è allora pensare, per queste applicazioni e sotto questo aspetto, a reti speciali per dati in cui sia impiegato quanto vi è di adatto e di conveniente della rete telefonica (ossia i mezzi trasmissivi) e non impiegato quanto non adatto o non conveniente (ossia le centrali). Sono infatti entrate recentemente in funzione (o sono previste) nei paesi più avanzati e nei collegamenti fra essi reti per dati di vari tipi, classificabili in generale come: 1) ‛reti a commutazione di circuito': sono reti in cui, come in quella telefonica, ogni connessione fornisce l'uso esclusivo di un circuito ai terminali impegnati in una comunicazione, finché la connessione non è liberata. È da notare che, data la natura binaria dei segnali, la commutazione non avviene necessariamente a divisione di spazio. Anzi, nella centrale può addirittura non esistere la stessa rete di connessione, come nel caso della commutazione a transizioni. In questa, durante una comunicazione, il comando centrale CC è informato di ogni transizione da 0 a 1, o viceversa, nella linea da cui provengono i segnali e comanda corrispondentemente il passaggio da 0 a 1, o viceversa, sulla linea a cui i segnali sono destinati; 2) ‛reti a commutazione di pacchetto': sono reti totalmente elettroniche in cui i bit vengono commutati a gruppi, chiamati pacchetti, che contengono in una sequenza fissa i dati, le segnalazioni di indirizzamento e di controllo e le informazioni per il controllo degli errori. Con questo tipo di commutazione i circuiti fra le centrali sono occupati, per una data comunicazione, soltanto per la durata di trasmissione dei pacchetti e non quando il terminale non trasmette dati. Si veda per analogia la fig. 19 sul sistema TASI; come con tale sistema, le reti a commutazione di pacchetto consentono la formazione di connessioni bidirezionali con colloquio in tempo reale. È anche possibile, per la natura della commutazione, effettuare conversioni di velocità, cioè che la rete restituisca i pacchetti a velocità diverse da quelle con cui li ha ricevuti; 3) ‛reti a commutazione di messaggio': sono reti totalmente elettroniche in cui i messaggi di ciascun corrispondente vengono memorizzati nelle centrali e instradati verso i corrispondenti anche in tempo differito nel caso di indisponibilità momentanea dell'utente chiamato, o di circuiti, oppure per usufruire di riduzioni tariffarie; di conseguenza, le comunicazioni sono sempre di tipo unidirezionale. I diversi tipi di commutazione presentano maggiori o minori vantaggi in funzione del tipo di applicazione, delle velocità di trasmissione dei dati, del traffico per utente e della sua distribuzione, delle distanze fra i corrispondenti. Non è finora stato possibile realizzare un tipo di rete conveniente per la generalità degli impieghi.

Un genere molto particolare di rete per dati è la rete dati ‛privata', ossia destinata a uso esclusivo di un ente provvisto di una molteplicità di terminali distanti, interconnessi per mezzo di circuiti presi in affitto dal gestore di telecomunicazioni. Reti di questo genere, dette anche a servizio ‛chiuso' (v. fig. 31) in contrapposizione al normale servizio ‛aperto' di telecomunicazioni, sono alquanto diffuse al momento attuale. Due fattori hanno concorso a determinare tale situazione: da un lato, industrie, banche, ministeri hanno iniziato i propri processi di automazione in assenza di una rete pubblica in grado di dare risposte valide a tutte le esigenze della teleinformatica; dall'altro, ogni singolo ente, nelle proprie realizzazioni, ha tenuto in conto esclusivamente le proprie esigenze interne, trascurando i successivi obiettivi di interconnessione con altri enti. La tendenza dei gestori di telecomunicazioni è, invece, orientata verso l'abbattimento delle limitazioni proprie delle reti chiuse, ossia verso la costituzione di una efficiente e capillare rete di telecomunicazioni che metta a disposizione dell'utenza un servizio bidirezionale commutato, economicamente conveniente, in grado di assorbire la maggioranza delle svariate applicazioni sopra menzionate, garantendo fra l'altro la possibilità di costituire raggruppamenti ‛chiusi' all'interno della rete pubblica.

d) Tecniche per il servizio telegrafico.

Alla luce degli sviluppi della teleinformatica in generale, i servizi telegrafico e telex potrebbero essere considerati sotto qualche aspetto come una mera applicazione di servizio dati, a bassa velocità. Altri aspetti, però, e in particolare la presenza di un alfabeto internazionale unificato, ne giustificano una trattazione separata.

Trasmissione. - Sotto l'aspetto trasmissivo, una delle più interessanti applicazioni (in comune con la teleinformatica) è quella del multiplex numerico di più canali a bassa velocità in unico flusso binario. Per un impiego generale il metodo usato è quello della codifica delle transizioni, ottenuta con l'inviare in linea a ogni transizione un carattere che indica l'istante in cui essa ha avuto luogo e il suo senso (1-0 oppure 0-1). Con questo metodo si riesce a multiplare con distorsione accettabile fino a 16 canali telegrafici in un flusso di 2400 bit/s, a sua volta trasmissibile tramite modem su un normale canale telefonico (v. fig. 32). Ma risultati ben più competitivi nei confronti della telegrafia armonica, sia sotto l'aspetto impiantistico sia sotto quello gestionale, vengono raggiunti quando si tiene conto che i segnali appartengono a un alfabeto normalizzato, in cui ogni carattere ha un formato precisamente definito. In tal caso si può procedere alla codifica dei caratteri, ottenendo di rendere multiplabili in un flusso di 2400 bit/s oltre 50 canali telegrafici, con rigenerazione dei caratteri (v. fig. 33).

Commutazione. - Fino a un certo momento, l'evoluzione tecnologica e tecnica delle centrali telex ha continuato a seguire quella delle centrali telefoniche, anzi ad assumere un ruolo di dipendenza, mutuando per la telegrafia le conclusioni degli sviluppi impostati per la telefonia. In tale quadro sono state sviluppate per il servizio telex centrali semielettroniche, ossia con reti di connessione elettromeccaniche. Ma anche altri sviluppi hanno potuto essere realizzati, soprattutto negli ultimi tempi, su basi diverse da quelle telefoniche, sempre con tecniche elettroniche e spesso sotto la spinta delle esigenze della teleinformatica.

In qualche caso è stata mantenuta la rete di connessione a divisione di spazio, ma realizzata con tecnologie elettroniche, dato che la natura numerica del segnale da commutare lo rende meno sensibile ad attenuazioni e disturbi e consente la costituzione di matrici di dimensioni adeguate. In altri casi la rete di connessione non esiste, come nelle centrali con commutazione a transizioni, di cui si è detto trattando di informatica. Si può anzi dire che le centrali di questo tipo sono state sviluppate con l'intento di costituire una rete telegrafica in grado di accogliere anche il servizio dati a bassa velocità. Per dati a velocità elevata, il comando centrale, sollecitato da ogni transizione, risulterebbe, invece, eccessivamente caricato. Altre centrali sviluppate col medesimo scopo impiegano la commutazione a caratteri, in cui al lato ricezione si riconoscono non le singole transizioni, ma interi caratteri, che vengono commutati verso il lato trasmissione attraverso un'effettiva rete di connessione oppure attraverso il comando centrale. È da notare che, rispetto alla commutazione a transizioni il comando centrale è meno sollecitato a parità di frequenza di cifra. Infine, le centrali a commutazione di messaggio, oltre che essere adatt

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